Bonus acquisto gasolio per attività di trasporto: in arrivo il codice tributo

Istituito il codice tributo per l’utilizzo, tramite modello F24, del credito d’imposta per l’acquisto di gasolio per l’esercizio delle attività di trasporto (Agenzia delle entrate – risoluzione 9 novembre 2022 n. 65/E)

Per consentire l’utilizzo in compensazione dell’agevolazione in oggetto, tramite modello F24 da presentare esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento, è istituito il seguente codice tributo:  “6989” denominato “credito d’imposta per l’acquisto di gasolio per l’esercizio delle attività di trasporto – art. 3 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50”.
In sede di compilazione del modello di pagamento F24, il suddetto codice tributo è esposto nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Il campo “anno di riferimento” è valorizzato con l’anno di sostenimento della spesa, nel formato “AAAA”. Si precisa che, l’Agenzia delle entrate, in fase di elaborazione dei modelli F24 presentati dai contribuenti, verifica che i contribuenti stessi siano presenti nell’elenco dei beneficiari trasmesso dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, e che l’ammontare del credito d’imposta utilizzato in compensazione non ecceda l’importo indicato in tale elenco, pena lo scarto del modello F24, tenendo conto anche delle eventuali variazioni e revoche successivamente trasmesse dallo stesso Ministero.

Enti religiosi: fusione riorganizzativa per incorporazione

L’Agenzia delle Entrate con la risposta 08 novembre 2022 n. 555 è intervenuta sul trattamento fiscale riservato nell’ipotesi della “fusione per incorporazione” di due enti ecclesiastici ai fini delle imposte sul reddito, dell’IVA e dell’imposta di registro.

Con particolare riguardo all’operazione di fusione che coinvolge enti ecclesiastici, nella risoluzione 15 aprile 2008, n. 152/E è stato chiarito che ai fini una valutazione degli effetti fiscali occorre distinguere se i beni che “passano” da un ente all’altro siano o meno relativi ad un’attività d’impresa.

In altre parole, una tale operazione di fusione non è da considerare “realizzativa” e può, quindi, beneficiare della neutralità fiscale di cui all’art. 172, co. 1, del TUIR, limitatamente ai beni gestiti dall’ente incorporato in regime di impresa che, dopo la fusione, confluiscono nell’attività d’impresa dell’ente incorporante.

Qualora, invece, detti beni non confluiscano in un’attività d’impresa dell’ente incorporante, gli stessi si considerano realizzati a valore normale, in analogia a quanto disposto dall’art. 171, co. 1 del TUIR in materia di trasformazione eterogenea, generando plusvalenze imponibili a causa della loro destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

La risoluzione n. 152/E del 2008 ha chiarito, altresì, che anche per i beni relativi all’attività istituzionale dell’ente incorporato occorre distinguere a seconda dell’attività in cui gli stessi confluiscono in conseguenza dell’operazione di fusione.

In relazione ai beni non relativi ad impresa che confluiscono nell’impresa, trova applicazione in via analogica l’articolo 171, co. 2 del TUIR che, in caso di trasformazione da ente non commerciale in società commerciale, rinvia alla disciplina del conferimento per i beni non ricompresi nell’azienda o nel complesso aziendale dell’ente stesso.

La medesima risoluzione precisa, infine, nella diversa ipotesi di beni non relativi all’impresa che confluiscono nell’attività istituzionale dell’incorporante, l’operazione sarà fuori dal regime d’impresa.

Nel caso di specie, l’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, rappresenta che procederà ad incorporare due enti ecclesiastici civilmente riconosciuti appartenenti alla medesima struttura religiosa (“Congregazione”) e che detta fusione verrà realizzata mantenendo in capo all’ente incorporante la destinazione originaria dei beni all’attività istituzionale o commerciale, come già rinvenibile in capo agli enti incorporati, in sostanza “aggregando” rispettivamente, le attività istituzionali con i relativi patrimoni e le attività commerciali con i relativi patrimoni.

Alla luce di quanto esposto, relativamente ai beni in regime di impresa che confluiranno nel novero dei beni dell’ente incorporante in regime d’impresa, la fusione potrà avvenire in neutralità fiscale, ai sensi degli artt. 172 e 174 del TUIR.

IVA: cessione di terreni con unità collabenti

L’Agenzia delle entrate, con la risposta del 7 novembre 2022, n. 554, in materia di IVA, ha fornito chiarimenti sulla cessione di terreni con unità collabenti.

La disciplina IVA prevista dai numeri 8-bis) e 8-ter) dell’articolo 10 del Decreto IVA distingue, ai fini dell’assoggettamento all’imposta delle cessioni di immobili effettuate da soggetti passivi, gli immobili strumentali da quelli abitativi, prevedendo per questi ultimi un generale regime di esenzione.
Le cessioni di fabbricati strumentali costituiscono, invece:
– operazioni imponibili quando effettuate “…dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 31, primo comma, lett. c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457;”, e a condizione che la cessione avvenga “…entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento…”;
– operazioni esenti in tutti gli altri casi ferma restando la possibilità per il cedente di optare, nel relativo atto, per l’imponibilità (articolo 10, numero 8-ter del Decreto IVA).
La distinzione tra gli immobili ad uso abitativo e immobili strumentali deve essere operata in base al criterio oggettivo della classificazione catastale degli stessi, a prescindere dal loro effettivo utilizzo.
La classificazione catastale al momento della cessione è quindi il criterio di riferimento principale, indipendentemente dalla destinazione di fatto, successiva alla vendita, fatta salva ovviamente la possibilità per l’amministrazione finanziaria di procedere a diverse valutazioni in presenza di eventuali circostanze rilevanti fiscalmente, quali clausole specifiche o accordi preventivi.
Va altresì ricordato che le disposizioni di cui ai citati numeri 8-bis) e 8-ter) non trattano specificamente anche dei fabbricati “non ultimati”.
Ciò induce a ritenere la cessione di un fabbricato effettuata da un soggetto passivo d’ imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione del medesimo sia esclusa dall’ambito applicativo dei richiamati nn. 8-bis) e 8-ter) dell’articolo 10 del d.P.R. n. 633 del 1972 trattandosi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione, pertanto, deve essere in ogni caso assoggettata ad IVA.
Un fabbricato si intende ultimato al momento in cui l’immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo.
In base a quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 12 luglio 2012, Causa C-326/11, l’esenzione IVA “…si applica a un’operazione di cessione di un bene immobile composto da un terreno e da un vecchio fabbricato in corso di trasformazione…quando al momento di detta cessione il vecchio fabbricato risulti demolito solo in parte e si, almeno parzialmente, ancora utilizzato in quanto tale”. Quanto a dire che la totale demolizione e l’impossibilità di utilizzo del fabbricato “come tale” esclude l’esenzione IVA della relativa cessione che ricade, invece, nell’ordinario regime di imponibilità.
La fattispecie oggetto del presente interpello riguarda un complesso immobiliare, sul quale la Società ha eseguito parziali interventi di demolizione, interessato da un’articola e complicata vicenda, rispetto alla quale si forniscono i seguenti principi di ordine generale.
Dalle copiose informazioni fornite, l’Agenzia desume che allo stato attuale la Proprietà è censita al catasto nella categoria “F/2 – unità collabenti”, tranne la particella …, foglio …, censita come “F/1 – aree urbane”.
Tali categorie catastali non rientrano in nessuna di quelle per le quali è prevista l’esenzione IVA dai numeri 8-bis) e 8-ter) dell’articolo 10 del Decreto IVA.
La dichiarazione di collabenza presuppone specifiche verifiche finalizzate ad accertare che l’unità immobiliare, tra cui:
– l’impossibilità di produrre reddito neanche con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria;
– l’assenza di allacci alla rete di acqua, luce e gas;
– l’impossibilità di essere iscritta in altra categoria catastale (ad esempio, una abitazione può perdere la sua redditività nella sua categoria ma può avere una redditività come locale di deposito ascrivibile nella categoria C/2);
– non consista in una delle tipologie che catastalmente non sono né individuabili e né perimetrabili e cioè quelle unità: a) prive totalmente di copertura e della relativa struttura portante o di tutti i solai b) delimitate da muri che non abbiano almeno altezza di un metro. Infatti, se dovessero verificarsi entrambe queste le circostanze, l’unità immobiliare è ascrivibile alla più consona qualità 280 “Fabbricato diruto” del catasto terreni.
Nella sentenza 19 novembre 2009, causa C-461/08, la Corte afferma che quando l’atto di cessione di un terreno, sul quale sorge un fabbricato destinato alla demolizione, prevede espressamente l’impegno a effettuare le prestazioni relative alle opere di demolizione, già iniziate all’atto della cessione, tale fattispecie integra un’operazione unica ai fini IVA, avente ad oggetto non la cessione del fabbricato esistente, ma quella di un terreno non edificato. In tale caso, la CGUE ha dato rilievo al fatto che la demolizione fosse stata iniziata, prima della cessione, dal venditore, che si era assunto contrattualmente l’onere del completamento.
Di contro, la stessa Corte, nella sentenza 4 settembre 2019, C-71/18, ritiene che non può essere qualificata come cessione di “terreno edificabile” la cessione di un terreno che, al momento della vendita, incorpora un fabbricato pienamente operativo ma da demolire totalmente o parzialmente – secondo l’intenzione delle parti. In tal caso la demolizione risulta essere un’operazione economicamente indipendente rispetto alla vendita del suolo e non forma, con quest’ultima, un’unica operazione.
In conclusione, per quanto sinora illustrato l’Agenzia ritiene che la classificazione catastale del fabbricato “al momento della cessione” resta, in generale, il criterio di riferimento principale per applicare il regime di esenzione IVA previsto dai numeri 8- bis) e 8-ter) dell’articolo 10 del Decreto IVA, indipendentemente dalla destinazione di fatto, successiva alla vendita. Se quindi all’atto della cessione la Proprietà è effettivamente inquadrabile nella categoria catastale F/2, in base a elementi oggettivi che ne certifichino lo stato di fatto, come una pertinente e databile documentazione fotografica nonché apposite perizie tecniche – possibilmente asseverate – che ne offrano una rappresentazione fedele anche dello status quo ante, tale operazione non rientra nel predetto regime di esenzione, bensì in quello ordinario di imponibilità con applicazione dell’IVA nella misura del 22 per cento.
Sottolinea, peraltro, che tale ricostruzione non si pone in contrasto con quanto affermato, da ultimo, nella circolare 25 luglio 2022, n. 28/E, in tema di detrazioni per interventi di recupero del patrimonio edilizio, interventi finalizzati al risparmio energetico e superbonus, secondo cui “le unità collabenti, pur trattandosi di categoria riferita a fabbricati totalmente o parzialmente inagibili e non produttivi di reddito, sono manufatti già costruiti e individuati catastalmente.” Tali interventi sono finalizzati alla conservazione del bene e l’agevolazione spetta a condizione che gli stessi non debbano essere considerati come “nuova costruzione”.
Considerato il trattamento IVA come sopra delineato e in virtù del principio di alternatività IVA/Registro di cui all’articolo 40, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, l’Agenzia ritiene che l’imposta di registro debba essere applicata nella misura fissa di euro 200,00.
Nella stessa misura di euro 200,00 sono dovute l’imposta ipotecaria, ai sensi della nota all’articolo 1 della Tariffa allegata al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 (TUIC), e l’imposta catastale, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, del medesimo TUIC.